domenica 28 settembre 2008

La "bellezza" delle tasse

In questi giorni di gravi crisi finanziarie, forse è utile rileggere questi brani da un articolo di Stella Fabiani (su Europa del 9 aprile 2008).

Il fine verso cui tende l'uomo è la felicità individuale. Il fine verso cui tende la comunità mondiale è la felicità universale. Che cos'è, però, la felicità? Il suo raggiungimento coincide pienamente con il possesso materiale e il danaro? Adam Smith, profeta dell'economia classica, nutriva più di un dubbio al riguardo e nel 1759 (in Teoria dei sentimenti morali), scriveva che è un inganno pensare che il ricco possieda maggiori mezzi per essere felice. Innanzitutto, perché per raggiungere questo obiettivo deve sottoporsi ad immani e stressanti fatiche, ma anche perché la capacità di godere dei beni è limitata e l'uomo ricco può consumare solo in minima parte ciò che possiede.
Una volta raggiunto un livello di vita più che confortevole, l'aumento di reddito porta a una "perdita" di felicità, soprattutto sul piano individuale, privato, perché vengono duramente compromesse le relazioni personali, lo svago, il tempo da trascorrere in famiglia o con gli amici.
Nel 1972, fu Wangchuck, sovrano del Bhutan, una piccola nazione buddista, tra le più povere per reddito e consumo, a coniare il nuovo concetto di "felicità interna lorda", divenuto in breve tempo, uno dei capisaldi della ricerca accademica. I quattro pilastri per misurare il "fil" sono: lo sviluppo equo e sostenibile, i valori culturali e religiosi, l'ambiente e la salute, il buon governo e, di conseguenza, la fiducia nelle istituzioni.
«Da un lato, tutto ciò può essere tradotto in una serie di azioni pratiche, da parte dei governi, tese ad accrescere la ricchezza individuale, non solo attraverso misure come riduzione delle tasse e aumento dei salari, ma anche migliorando la qualità della vita alle persone e accrescendo il loro benessere psico-fisico. Dall'altro, si afferma il principio fondamentale che il dovere della politica di ridistribuire la ricchezza non è un «togliere ai ricchi per dare ai poveri», bensì un modo per rendere un po' più felici tutti. I poveri, alle prese con mille difficoltà quotidiane, oppressi dall'ansia del futuro e dalle privazioni. E i ricchi i quali, quando si supera di molto il limite del benessere materiale, per il mantenimento della loro "ricchezza inutile", (perché non serve ad acquistare e a consumare di più), vengono privati di quei piaceri affettivi e relazionali che sono i soli portatori di autentica felicità a misura umana.
Insomma: «Non dare alla ricchezza un assoluto valore positivo, bensì alla povertà un valore negativo».