domenica 16 gennaio 2011

La santità ospitale di Gesù

Riprendo, da un'intervista su Avvenire del 19 maggio 2010, le riflessioni del teologo francese Christoph Theobald su quello che lui definisce "il concetto di santità ospitale".

Se si analizza ciò che i testi ci raccontano a un primo livello, e penso ad esempio al Vangelo di Luca ma anche agli Atti degli Apostoli, si scorge che vi è una sorta di ospitalità aperta. Gesù è spesso invitato, mangia con i peccatori e le prostitute. Tante cose accadono attorno ai pasti. Peraltro, egli accoglie all'improvviso le persone quando esse si presentano. Tutto il suo modo d'essere è ospitale. Si tratta di una tematica fondamentale nell'insieme delle Scritture. La si trova all'inizio della Bibbia, se si pensa alle figure di Abramo e di Sara nel libro della Genesi. All'altro capo della Scrittura, nella Lettera agli Ebrei, si ritrova di
nuovo la medesima tematica, con questa frase magnifica: "Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo ", con un allusione alla ben nota scena di Abramo. Accanto a questa ragione biblica, occorre sottolineare che il contesto contemporaneo ha spinto molti pensatori a riflettere sull'ospitalità. Se si spinge l'ospitalità all'estremo appare una sorta di paradosso, dato che non si può sapere se s'accoglie un amico o un nemico. Si può comprendere in questa direzione cosa sia la santità di Gesù di Nazareth, cioè un modo totalmente senza condizioni di essere ospitale di fronte a chiunque si presenti.


Le conseguenze, se si cerca di essere veramente coerenti con questo criterio di interpretare l'insegnamento di Cristo, possono sembrare sorprendenti, ma in realtà rispondono perfettamente alla logica "soprannaturale" della santità.

In fondo, la credibilità del Cristo è qualcosa di molto semplice poiché la gente di Galilea l'ha ricevuto come qualcuno che è credibile. Innanzitutto, il Cristo è colui che ha sempre detto ciò che ha pensato e fatto ciò che ha detto. È una prima condizione di autenticità, di concordanza con se stessi. La seconda condizione consiste in un modo di affrontare le relazioni. La Regola d'oro ci aiuta a comprenderla: tutto ciò che vorrete sia fatto a voi, fatelo agli altri. Il che presuppone un atteggiamento molto specifico che il Cristo ha vissuto fino in fondo: una capacità di mettersi al posto degli altri con compassione e "simpatia" senza lasciare il proprio posto. Evidentemente, questa condizione è estremamente minacciata quando l'altro è un nemico. Il che può giungere anche dall'interno del
piccolo gregge dei discepoli: la figura di Giuda. È qui che appare la terza condizione della credibilità, cioè una mutazione del rapporto verso la morte. L'Apocalisse esprime ciò magnificamente, parlando dei cristiani che "non hanno amato la vita fino al punto di temere la morte". Hanno imitato il Cristo che ha consegnato la sua esistenza. Il cristiano non può mai essere credibile come Cristo è credibile, ma vi è un modo di entrare in relazione con lui e di ammettere la propria non credibilità confessando al contempo il proprio desiderio di divenire sempre più conformi a lui.

domenica 9 gennaio 2011

Basta con il cristianesimo triste

Paola Bignardi, già presidente nazionale di AC, nel suo libro: "Dare sapore alla vita. Da laici nel mondo e nella Chiesa" (ed. Ave) se la "prende" con un certo tipo di cristiani.

Chi ha familiarità con il Vangelo si rende conto dell'insostenibilità di quel cristianesimo triste e un po' arcigno che talvolta si incontra in chi ha perso i contatti con le fonti della vita cristiana. Il cristianesimo è l'esperienza di donne e di uomini che amano la vita, che vivono con gioia la loro esperienza familiare e sociale; le relazioni con gli amici e con i vicini di casa; la politica e la professione; che sanno apprezzare l'umanità in tutte le sue dimensioni: affetti, responsabilità, fatica, amore; che sanno dare un senso alle esperienze difficili che segnano l'esistenza di tutti: la malattia, il dolore, il limite, la solitudine, la morte.

Il cristiano che "piace" alla Bignardi (e anche a me) è dunque una persona solidale con i propri simili e con il mondo, è una persona che non lancia accuse e anatemi, ma che si pone alla scuola del Vangelo per capire e, soprattutto, per amare quell'umanità che la Provvidenza le ha messo accanto. Come insegna la celebre Lettera a Diogneto, i veri laici si mescolano volentieri con i loro simili.

Per questo i cristiani non cercano di appartarsi rispetto allo scorrere della vita quotidiana e alla responsabilità che essi condividono con ogni persona.

Tuttavia ciò non impedisce loro di testimoniare l'irriducibile alterità dell'annuncio evangelico che li fa essere e sentire stranieri rispetto a una mondanità che privilegia l'apparire e l'avere rispetto all'essere.